di Michele
Lamonaca
E' approdato a Barletta venerdì scorso, dopo tre anni di viaggio in
solitaria, serviti per percorre all'incirca 30 mila miglia marine, più di
40 mila chilometri.
Tanto può essere lungo il viaggio in barca per
girare attorno al mondo come ha fatto Aron Meder, ungherese, trent'anni,
occhi azzurri e lineamenti sottili.
L'impresa l'ha compiuta a bordo
della sua barca a vela dotata anche di motore, un sei metri di nome “Carina”. E
quando ne parla la definisce “larga e corta”, due caratteristiche che si sono
rivelate fondamentali nel corso del suo lunghissimo viaggio perché conferiscono
all'imbarcazione “grande stabilità”.
“Amo navigare fin da piccolo –
spiega Aron sorridendo – e quello di fare il giro del mondo in barca è stato da
sempre il mio sogno. Fin da quando ho imparato ad andarci, sul fiume
Balaton, in Ungheria, il più grande dell'Europa Centrale. Per realizzarlo ne ho
comprato una piccola e poco costosa, solo 1.500 euro, perché non sono
ricco e nemmeno la mia famiglia lo è”.
La scelta di una imbarcazione di
dimensioni ridotte nasce anche dal fatto che “su una barca piccola tutto è più
semplice. E' facile eseguire le riparazioni, sostituire pezzi, e governarla”.
Spiegazioni di un tecnico del mare, di uno che naviga dal 1990 e lo
insegna agli altri facendo l'istruttore dal '98.
Aron è anche laureato
in ingegneria elettronica, una disciplina lontana anni luce dall'idea folle di
navigare attorno al mondo da soli. Ma per lui, la cosa è molto semplice:“ho
pensato che spendere alcuni anni della mia vita solo su una barca fosse il modo
migliore per imparare, non dai libri, ma dall'esperienza diretta”.
E di
esperienze ne ha fatte e come, una volta partito dalla Slovenia nel settembre
del 2006. Superato lo stretto di Gibilterra ha raggiunto le Canarie, l'isola di
Capoverde e le Barbados. Ha superato l'Oceano Atlantico con un traversata durata
39 giorni e lunga 2.050 miglia che lo ha portato nelle isole caraibiche, nel sud
e centro America.
Ha attraversato il canale di Panama e si è ritrovato
nell'Oceano Pacifico. In quaranta giorni di navigazione è arrivato fino alle
isole Galapagos.
Da quelle parti ha girato parecchio. Ha visitato la
Polinesia, le Isole Cook, Tonga, e le Isole Fiji dove si è fermato addirittura
sette mesi per riparare la sua barca e attendere che finissero gli uragani. E
nel frattempo si è fidanzato con una ragazza del posto: “dalla gente di li ho
imparato molto. Ho trovato anche un lavoro come pescatore e la ragazza. Li, le
persone semplici come il loro modo di vivere, gentili e disponibili”.
Già che c'era si è concesso anche un giro nelle foreste della Papua
Nuova Guinea “ per accompagnare uno di loro al suo villaggio dove gli indigeni
sono rimasti colpiti dal colore chiaro della mia pelle. Io invece, per fare
amicizia, gli ho mostrato il gioco del calcio”.
Una volta ripreso il
viaggio, ha raggiunto l'Indonesia, visto Singapore, la Malesia, la Thailandia,
lo Srilanka e le Maldive. Raggiunto il golfo di Aden, nello Yemen, ha
attraversato il Mar Rosso e poi il Canale di Suez per sbucare nel Mar
Mediterraneo da dove è partita la sua avventura.
Qui ha visto prima la
Grecia e poi è arrivato ad Otranto il 30 agosto scorso, dove in base ai suoi
calcoli, ha concluso il suo giro del mondo. Il suo viaggio in barca
terminerà invece li dove è iniziato, in Slovenia.
Intanto “Carina” è
ormeggiata nel porto di Barletta, e Aron Meder, sempre sorridente e gentile dice
“di non sentirsi speciale quando torna sulla terra ferma ” per quella che per
noi, assuefatti al mare delle convenzioni, è un'impresa incredibile,
straordinaria, da folli, degna d'essere raccontata dalla penna di un grande
romanziere.
Per Aron invece, sembra tutto normale. Anche quando racconta
alcuni dei momenti più belli della sua magnifica avventura: “sono rimasto solo
sull'oceano per 50 giorni senza mai fermarmi, dalle Galapagos alle Isole
Marchesi. Solo con il mare, il cielo stellato di notte, la semplicità della mia
giornata dedicata a governare la barca, catturare il pesce, tagliarlo, cucinarlo
e mangiarlo.”
“La gente – dice – mi ha sempre aiutato regalandomi cibo,
acqua, pezzi di ricambio, ospitalità nei porti. Sono partito con poco
denaro che è finito quando sono arrivato a Panama. Ma molti, quando hanno saputo
della mia storia ed hanno visitato il mio sito, senza che io abbia mai chiesto
soldi o cercato sponsor, hanno versato denaro sul mio conto corrente aiutandomi
a continuare il viaggio “.
A sentire il giovane navigatore ungherese,
sembrerebbe una passeggiata, ma nella traversata delle traversate, di momenti
difficili e inconvenienti da affrontare ce ne possono essere parecchi.
Anche se a bordo di “Carina”, in caso di emergenza, c'è tutta la
strumentazione necessaria per comunicare la posizione via satellite, ed il
gommoncino autogonfiabile nel caso in cui non ci sia modo di salvare la barca.
“Ricordo – dice Aron – il gran freddo che in certi giorni mi ha fatto
stare con la febbre o il mal di pancia preso in Marocco per aver mangiato pesce
avariato. Ma grazie al cielo – aggiunge – ho portato con me uno scatolone pieno
di medicinali che mi sono serviti per sentirmi subito meglio”.
Le
medicine servono a difendersi da malattie e infezioni ma contro il mare che si
gonfia “con onde larghe sette metri e lunghe il doppio” servono coraggio, forza
e determinazione.
“Tra la Papua Nuova Guinea e l'Australia ho vissuto il
momento più difficile – racconta – perché la corrente era fortissima e il mare
in tempesta. La barca cadde su un lato e l'albero toccò l'acqua mentre io
dormivo”.
“Ma in quegli attimi non hai nemmeno il tempo di avere paura
perché devi essere molto veloce. Infatti pensai solo a recuperare tutto quello
che era caduto in mare, e a rimettere ordine nella cabina dove tutto
era finito per terra”.
Adesso che invece è in acque più tranquille
e il suo viaggio volge al termine, è giunto il momento di pensare al futuro.
Probabilmente senza alcun timore, perché, chi come lui ha affrontato sul serio
gli oceani, non conosce le piccole paure quotidiane che spesso nascono dal fatto
di restare chiusi nella nostra piccolissima fetta di mondo.
Ma Aron è un
tipo semplice, virtù necessaria per vivere tre anni solo, su una barca di soli
sei metri:“non mi sento speciale per quello che ho fatto. La barca è speciale,
la terra ferma è speciale. Ma non voglio continuare a vivere come ho fatto in
questi ultimi tre anni. Ho intenzione di tornare sulla terra ferma e cominciare
a lavorare. E magari provare a farmi una famiglia”.
E intanto, oggi, se
il tempo regge, lascerà il porto di Barletta per arrivare in Slovenia passando
per la Croazia. Sciocchezze per uno che ha fatto meglio di Magellano.